venerdì 23 febbraio 2024

Oltre il Limite: il Report 2023 di Antigone Marche

Al Convegno, patrocinato dal Comune e organizzato con ImpAct, i volontari dell’associazione regionale per i diritti e le garanzie nel sistema penale hanno presentato al pubblico storie e racconti di attività in carcere e approfondito la situazione detentiva con i docenti universitari Caraceni e Saccomani





Il 90% delle persone detenute uscirà dal carcere ed è per questo che ci dobbiamo interessare a loro. Dobbiamo chiederci se sia nostro interesse che escano peggiori di come sono entrate e, se partiamo da questo concetto, possiamo affermare che il carcere ha fallito”. Lo ha dichiarato la docente di diritto penitenziario all’Università di Macerata, Lina Caraceni, nel Convegno di ieri pomeriggio a Jesi dato titolo ‘Oltre il limite - La situazione delle carceri marchigiane’ nel corso del quale l’associazione Antigone Marche ha presentato il suo Report 2023. Il carcere è tempo vuoto e spazio pieno, dove le persone non lavorano sul proprio vissuto, non elaborano una nuova vita possibile e nella maggior parte dei casi torneranno a delinquere. Così com’è deprime la dignità delle persone e non conviene a nessuno di noi che sia così. Per il 70% delle persone detenute la privazione della libertà è solo punizione fine a sé stessa, non serve a nulla se non a peggiorare le loro condizioni, tradendo la funzione rieducativa che la Costituzione assegna alla pena: dobbiamo pretendere come cittadini un cambiamento che produca diritti, autonomia e effettiva sicurezza per l'intera società”, ha aggiunto Caraceni all’evento che, organizzato in collaborazione con ImpAct, si è svolto ieri alle 18 nella Sala Maggiore del Palazzo dei Convegni di Jesi. A prendere la parola, oltre ai volontari di Antigone Marche che hanno illustrato storie e dati sull'attività svolta di volontariato nel 2023, anche all’avvocato e docente dell’Università di Urbino, Jacopo Saccomani, che ha fatto un approfondimento sull’importanza dell’istituzione dei Garanti comunali. 



Nel 2023 i volontari di Antigone Marche hanno tenuto circa 50 Sportelli tutela diritti negli Istituti di Montacuto, Pesaro e Fermo, e svolto 6 visite con l’Osservatorio sulle condizioni di detenzione, una in ciascun istituto. Le situazioni più allarmanti in termini di sovraffollamento sono quelle di Montacuto, Pesaro e Fermo, istituti dove si riscontrano anche problemi strutturali in termini di logoramento degli edifici (in particolare Pesaro e Montacuto) o di carenza di spazi (Fermo). In generale, è allarmante la situazione sanitaria, non solo per l’aumento nel consumo di psicofarmaci e di presenze di persone affette da dipendenze patologiche, ma anche degli atti di autolesionismo e di tentativi di suicidio. Più nello specifico, il Report conta, a fine 2023, nelle sei carceri regionali, 919 persone ristrette a fronte di una capienza regolamentare di 837 posti. Un sovraffollamento di media, dunque, ma che in realtà, non registrandosi in alcuni istituti (Fossombrone, Barcaglione e Ascoli Piceno), diventa ancora più acuto negli altri (a Montacuto c’erano 332 presenti su 257 posti), Pesaro (255 su 153) e Fermo (50 su 43). In generale, in Italia a fine 2023 si registrano circa 10 mila persone in più rispetto alla capienza regolamentare, con un tasso di sovraffollamento al 117% e una crescita di 400 persone al mese, mentre il 33% delle strutture detentive non garantisce lo spazio minimo di 3mq a persona. Oltre a quello del sovraffollamento, c’è il tasso di suicidi, pari allo 0,11%, con 69 persone detenute che l’anno scorso si sono tolte la vita. Se nel Paese avessimo avuto la stessa percentuale, nel 2023 avremmo contato 66 mila suicidi: come la città di Fano e anche qualche paesino in più. Sul fronte sanitario, secondo i dati di Antigone il 13% delle persone detenute ha una diagnosi psichiatrica grave mentre il 38% assume sedativi o ipnotici e il 20% terapie psicofarmacologiche importanti (antipsicotici, antidepressivi, stabilizzatori dell’umore). Il 40% delle persone detenute è affetto da dipendenze patologiche, con un forte aumento rispetto al 30% registrato nel 2022. Per quanto riguarda le tossicodipendenze, i dati elaborati sono per ora quelli del 2022 e dimostrano che, nelle Marche, gli ingressi in carcere dalla libertà sono stati 628 di cui 165 persone con dipendenze. Per il 41% gli oppioidi sono la sostanza primaria, per il 30% cocaina e crack. 

Il Convegno, che ha beneficiato del patrocinio del Comune di Jesi e ha riconosciuto 2 crediti per la formazione continua dell'Ordine degli Avvocati, ha registrato un’ampia risposta del pubblico, con oltre 100 persone che hanno affollato la sala rimanendo anche in piedi per l’esaurimento dei posti a sedere. Presenti il direttore degli Istituti di Montacuto e Barcaglione, Manuela Ceresani, il Comandante dirigente aggiunto a Montacuto, Nicola De Filippis e rappresentanti del Corpo di Polizia Penitenziaria, il responsabile dell’area giuridico-pedagogica della Casa circondariale di Montacuto e della Casa di reclusione di Barcaglione, Francesco Tubiello, e la funzionaria della Casa di reclusione di Fermo, Arianna Zaccheo, il Garante regionale per i diritti della persona, Giancarlo Giulianelli, il presidente del Consiglio Regionale, Dino Latini, attraverso un videomessaggio di saluti istituzionali, il Rettore dell’Università degli Studi di Macerata, John Mc Court, dottoresse dei SerD di Ancona e Jesi, esponenti dell’Ufficio per l’esecuzione penale esterna (Uepe), avvocati e associazioni del territorio come Caritas, Isaia, Amnesty International, Libera, Edizioni Malamente, Extrema Ratio, Arci Jesi-Fabriano e la Conferenza regionale volontariato giustizia, con il neo presidente, Giorgio Magnanelli, in rappresentanza anche della rivista del carcere di Fossombrone, Mondo a Quadretti. 





IL REPORT COMPLETO: Antigone_Report_2023_(DEF)_compressed.pdf


Per Info: marche@associazioneantigone.it




Oltre il Limite: il Report 2023 di Antigone Marche


Oltre il limite”. E' questo il titolo del Report 2023 di Antigone Marche che abbiamo presentato giovedì 22 Febbraio a Jesi durante un Convegno sulla condizione delle carceri marchigiane. Il documento descrive la situazione preoccupante per i sei istituti della regione, partendo dai dati, dalle storie e dallo sguardo di noi volontari che abbiamo portato avanti le varie attività nel corso dell'anno passato con l'Osservatorio sulle condizioni di detenzione, i tre Sportelli tutela diritti e le tante iniziative di sensibilizzazione e informazione sul territorio. Abbiamo inoltre dedicato il centro del report a un focus specifico sulle carenze sul piano sanitario, con un'analisi della situazione delle persone detenute affette da dipendenze patologiche e delle tipologie di trattamento elargito nonché un approfondimento sull'emergenza sanitaria dei migranti nei Cpr.

BUONA LETTURA!



QUI IL REPORT COMPLETO

mercoledì 8 marzo 2023

Il nostro contributo ad uno spettacolo teatrale per raccontare il carcere delle Donne

Nei mesi scorsi abbiamo avuto il piacere di essere coinvolti nello spettacolo teatrale "Sorgete Donne", prodotto dal Collettivo Collegamenti in collaborazione con l’Associazione Ventottozerosei, con il sostegno di una rete di Comuni (Montemarciano, Chiaravalle, Sirolo, Corinaldo, Ancona) e il Patrocinio della Commissione Pari Opportunità della Regione Marche e del Comune di Senigallia. 

Il titolo dello spettacolo riprende l'appello che, nel 1906, la scienziata Maria Montessori lanciava alle donne italiane dalle pagine del quotidiano “La Vita” per invitarle ad iscriversi alla Commissioni elettorali delle proprie città e andare a votare, dato che nessun articolo della legislazione del tempo lo vietasse formalmente. All'appello risposero affermativamente anche dieci maestre marchigiane che, per quasi un anno, furono iscritte alle liste elettorali (unico caso in Italia) grazie a un giudice illuminato della Corte di Appello di Ancona, Lodovico Mortara, che accettò la loro domanda di iscrizione. 

La domanda venne poi rigettata, ma il fatto fu di una portata simbolica potentissima. Una portata potentissima da cui lo spettacolo trae origine per poi raccontare la storia dei diritti conquistati dalle donne. 

In occasione della Giornata internazionale della Donna, vogliamo ricordare dunque la nostra partecipazione allo spettacolo e ringraziare gli organizzatori per averci coinvolti. Come Antigone Marche, il nostro intervento è stato descrivere e raccontare il carcere vissuto dalle donne. Lo abbiamo fatto attraverso la voce e la presenza della nostra Maria Vittoria Pichi. E le sue e nostre parole sono state queste:




È dal1998 che l'Associazione Antigone, autorizzata dal Ministero della Giustizia, visita i quasi 200 Istituti penitenziari italiani e ogni anno redige un rapporto sulle condizioni di detenzione in Italia, di fatto unico strumento di conoscenza per chiunque si avvicini alla realtà carceraria: media, studenti, esperti, forze politiche.

L'Osservatorio fa riferimento nel proprio lavoro agli  standards elaborati dal Comitato europeo per la Prevenzione della Tortura e delle pene. 

Antigone Marche attualmente ha sportelli di incontro con i detenuti nelle carceri di Pesaro, Fermo e nel carcere di Monteacuto di Ancona, garantendo almeno un ingresso al mese, grazie alla determinazione delle volontarie e dei volontari. Nelle Marche solo a Pesaro è presente una sezione femminile con una capienza di 11 ma con la presenza, al 30/9/2022, di 23 detenute, di cui il 30% in attesa di giudizio.

Prima di entrare nell’argomento, vorrei sottolineare un aspetto che credo nessuno prenda mai in considerazione quando si parla di carcere. In carcere ci si può finire da innocenti. Senza averlo mai immaginato, per una coincidenza, per una omonimia, per uno scambio di persona, per situazioni estranee alle proprie scelte, alla propria vita.

Dal 1991 al 2021 tra ingiuste detenzioni e errori giudiziari in senso stretto, 30230 persone hanno vissuto la prigionia ingiustamente, circa 1000 ogni anno. Non lo auguro a nessuno! e considerare il carcere come uno spazio così distante dalla nostra vita da non farci chiedere nulla su cosa sia veramente, da non informarci, da non cercare soluzioni alle tante criticità, risponde secondo me a una paura profonda che io sostengo, data la mia esperienza di innocente imprigionata per tre mesi e mezzo nel carcere della Giudecca di Venezia, essere giusta: il carcere sì, fa paura, è la gattabuia, il buco nero che ci minaccia fin da bambini, il pozzo in cui si cade e da cui si teme di non uscire più.

Credo sia proprio per allontanare quella paura, che tutti sono pronti ad emettere sentenze, a non credere alle dichiarazioni di innocenza, a non chiedersi cosa può aver provocato l’atto illegale, invocando sempre più istituti carcerari e sempre più punitivi e più contenitivi, chiavi buttate per sempre, immaginando e sproloquiando poi su condizioni troppo agiate della vita reclusa, su percorsi alternativi o libertà concessi troppo facilmente, senza voler sapere quale sia la realtà: il carcere è il vuoto, il buio, il tempo che si ferma, i legami che si spezzano, l’aria ferma che, un soffio alla volta, ti toglie il respiro e ti vuole togliere l’identità.

Perché il carcere, tranne poche eccezioni, è ancora solo questo e, di conseguenza, non se ne può certo uscire migliori né rieducati. Lo dicono i dati: a parte lo sconvolgente numero di suicidi e di fenomeni di autolesionismo, più del 60 % dei detenuti è recidivo.

Nelle carceri italiane ci sono grossi problemi strutturali, mancanza di manutenzione, sovraffollamento, troppo pochi percorsi scolastici e professionalizzanti, poche opportunità di lavoro, pochi educatori o altro personale per le attività trattamentali e scarsa assistenza medica. L’art.27 della costituzione dove si afferma “l'imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva” e “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”, è completamente disatteso.

Questo anche a fronte di riforme, decreti, inviti e anche sanzioni dalla corte europea dei diritti dell’uomo. Per le donne tutto diventa ancora più difficile. La storia della detenzione femminile risente tuttora, ovviamente, della cultura patriarcale. La donna deviante, che cioè contravviene alle regole che la società (maschile) si è data, non è mai stata considerata, in ragione della sua supposta inferiorità biologica e psichica, come portatrice cosciente di ribellione, ma o una “posseduta” (ad esempio strega) o una malata di mente (ad esempio isterica).

La donna delinquente, la donna colpevole, è sempre stata anche considerata macchiata dalle stigmate di aver rinnegato, commettendo il reato, la propria natura femminile tradizionalmente dedita alla maternità e alla cura; colpevole dunque, non soltanto di fronte alla legge scritta dagli uomini, ma anche verso quella di “natura”. La donna delinquente subisce e ha sempre subito, dunque, una doppia emarginazione sia perché colpevole, sia perché donna degenere e, eventualmente, anche madre degenere.

Dalla fine dell’ottocento fino praticamente alla riforma del 1975, le donne venivano rinchiuse soprattutto per atti lesivi di valori morali e per comportamenti considerati “troppo liberi”, erano vagabonde o prostitute o addirittura zitelle, o adultere o semplicemente povere o, peggio ancora, ribelli. Dovevano essere corrette nella loro personalità più che punite. Gli istituti in cui venivano rinchiuse erano gestiti da religiose, senza nessun controllo da parte dello Stato, cosa che non accadeva per gli uomini, rinchiusi comunque solo in presenza di atti lesivi di precisi beni giuridici.

La custodia delle suore era impostata quindi non tanto sulla punizione, ma sulla “correzione” dell’errore commesso, sui principi della preghiera, dei lavori di pulizia degli spazi comuni, riproducendo così un modello culturale di sottomissione, dominato da una disciplina basata sul paternalismo ma garantita da figure prevalentemente femminili. Anche oggi c’è la tendenza, negli istituti femminili, a privilegiare la presenza di genere per gli operatori, e a volte anche per i volontari, mentre non si fanno preclusioni di sorta nei maschili. 

In Italia ci sono quattro istituti femminili, a Venezia, Roma, Pozzuoli e Trani, e 52 piccole sezioni, come appendici degli istituti maschili, che, se da un lato dovrebbero permettere una continuità di relazione con l’ambito famigliare vicino per territorio, penalizza di fatto le donne perché, essendo un numero esiguo rispetto al numero dei maschi detenuti, vengono private spesso e quasi completamente, di tutte le attività che vengono proposte nel maschile, persino di uno spazio adeguato per l’ora d’aria. 

Per le donne non viene fatta nessuna proposta universitaria, così come è molto difficile trovare corsi di formazione professionale e l’offerta di lavoro spesso è limitata alla cura dell’istituto stesso!

Le donne recluse sono tra il 4 e il 5 % della popolazione detenuta e questo dato è immodificato dai primi del 900. Negli ultimi anni le donne migranti sono arrivate ad essere circa il 37 % delle detenute, sostituendosi alle italiane, ma senza modificare la percentuale di presenza femminile nelle carceri, tra il 4 e il 5%. Va quindi sempre considerato il basso numero di reati commessi dalle donne, reati soprattutto contro il patrimonio e legati alla violazione della legge sugli stupefacenti. Vengono per lo più da condizioni di marginalità, di miseria, con mancanza di riferimenti esterni, anche abitativi, e questo spesso è l’alibi per cui per le donne la custodia cautelare, cioè il carcere in attesa di giudizio, viene utilizzata più che per gli uomini.

Per le donne la perdita della libertà è l’allontanamento da quello che vivono come dovere di tutela e cura, è la disintegrazione della famiglia di cui sono le sostenitrici emotive e questo comporta la consapevolezza che, venendo incarcerate, i famigliari, compresi i propri figli, non hanno più qualcuno che li badi. Spesso loro stesse non hanno più dall’esterno quel supporto che non manca ai maschi detenuti.

È una doppia emarginazione, come detenuta e come donna, e il distacco dagli affetti e l’impossibilità di vivere pienamente la propria femminilità all’interno di un contesto creato secondo codici e modelli maschili alimenta il senso di colpa e la conseguente somatizzazione del disagio emotivo. Non è un caso che il 65% delle donne al primo ingresso soffrano di amenorrea!

Le problematiche legate alla salute richiederebbero un approccio medico specifico per il “genere”, che tenesse in considerazione la diversa risposta ai farmaci e alle terapie ma per l’esigua presenza di specialisti, spesso l’unico approccio è quello di sedare le ansie, il disagio, con psicofarmaci, portando le detenute a un livello di apatia che le priva sempre più di un senso del sé.

Le donne detenute non sono soggetti vulnerabili, fragili, le vulnerabilità sono le minori possibilità di lavoro e di percorsi professionalizzanti, la deprivazione famigliare, vissuta in modo più forte, più struggente, più angosciante e la passivizzazione cui sono costrette dal modello maschile.

Il carcere porta sempre con sé una buona dose di regressione, dovuta alla spersonalizzazione istituzionale ed alla deresponsabilizzazione, considerando che anche la più banale e la più personale delle decisioni non può essere presa se non dopo che altri si sono espressi nel merito. È la cultura della “domandina”, un modello di trattamento correzionale-premiale, lontanissimo dalla cultura dei diritti.

Le donne che resistono mettono in atto strategie di “cura” per un bisogno di intimità, di ritrovare un proprio spazio, una propria identità attraverso l'attenzione alle piccole grandi cose di cui è costituta ogni giornata: la cura attenta del corpo e degli oggetti personali, l’arredamento e la pulizia della cella; l’adozione di modalità relazionali e comunicative basate sulle manifestazioni di affetto e di contatto fisico, creando nuovi legami contraddistinti da complicità e condivisione.

Attraverso tali gesti, cercano di "ritrovarsi" nella confusione e nella spersonalizzazione che il carcere crea. Tra le donne i rapporti interpersonali rispondono più a logiche di espressione di affettività, che a quelle della comparazione della forza, sia essa forza fisica o forza del prestigio criminale.

Questo, quando avviene, si presenta più per analogia alla realtà maschile, che per profonda convinzione, e nasce dall'esigenza di far fronte all'insicurezza determinata da un ambiente sconosciuto che non appartiene loro. 

Molte delle donne detenute sono madri. Madri di figli che portano con sé in istituto, o madri di figli che lasciano fuori, o anche madri mancate, che vedono spezzarsi un sogno, il sogno di diventare madri. Il tema, nelle lunghe ore chiuse, coinvolge tutte, riapre ferite, rinnova sofferenze e l’idea della “cattiva madre” è la doppia pena. Mentre la mancanza di responsabilità paterna passa come normalità e non è mai accompagnata da un giudizio negativo, questo grava sulla madre che vive anche costantemente il terrore che i servizi sociali possano portarle via i figli.

Se i figli sono piccoli, fino a tre anni, averli in carcere è l’ultima delle soluzioni che una madre ricerca ed è quella che vive con più ansia e paura poiché significa esporre il bambino a qualcosa di cui non solo non conosce esattamente le dinamiche, ma della cui realtà percepisce l’assoluta precarietà e mancanza di diritti sia come persona che come madre. I bambini non possono crescere in prigione, e le loro madri, limitate dal regime detentivo e sempre sottoposte ad autorità altre, non possono prendersene cura in autonomia e responsabilità, non possono assolvere ad alcuna funzione educativa e questo aumenta il dolore. Ad oggi, contrariamente alle disposizioni di legge, non sono stati aperti sufficienti luoghi per le pene alternative, ICAM (istituti a custodia attenuata per le madri) e case famiglia e per concedere gli arresti domiciliari si pretende che la donna abbia un domicilio “sicuro”, escludendo così, inevitabilmente e a prescindere le senza casa, le nomadi e le migranti.

Il dettato costituzionale si riferisce alle pene, nella loro accezione plurale e quindi il carcere dovrebbe intendersi come extrema ratio, sia nella fase di espiazione della pena sia, ancor più, in fase cautelare, valorizzando al massimo i possibili strumenti alternativi e non intendendo la privazione della libertà come risposta unica e indifferenziata a prescindere dalle condizioni – personali e materiali – della vicenda criminosa. 

Le donne recluse sono poche, la loro criminalità è di poco conto, le pene in genere inferiori a 5 anni, non manifestano violenza nei comportamenti, pertanto potrebbe essere proprio nei circuiti femminili  che si potrebbero sperimentare modelli nuovi di trattamento interno e di relazione con il contesto esterno, e attuare una politica di alternative al carcere.

Se non si abusasse della detenzione cautelare, se venissero applicate le leggi a tutela della maternità e della abolizione della detenzione dei bambini e se venisse recepito che la tossicodipendenza va trattata con progetti terapeutici sanitari, gran parte del circuito femminile potrebbe essere svuotato e l’esperienza potrebbe illuminare il cambiamento del carcere di tutti, come è auspicabile e necessario.

Vi invito a guardare il blog di Antigone Marche, a collaborare, ad iscrivervi.

Antigone è aperta a chiunque abbia a cuore la questione della tutela dei diritti umani, di tutte e tutti.

Grazie dell’attenzione

venerdì 27 gennaio 2023

“Il carcere, un luogo di tutti”: ecco il nostro Report 2021-2022


Ci abbiamo messo un po' a redarlo e a pubblicarlo, ma condensare due anni di attività in 16 pagine non è stato facile. Anzi, possiamo tranquillamente dire di non essere riusciti a farlo: perché dal report sono rimasti fuori gli incontri pubblici, le proiezioni cinematografiche, le presentazioni di libri, le interviste,... Tutta una serie di iniziative che Antigone Marche ha continuato e continuerà a portare avanti per corroborare l'attività che svolge negli Istituti di pena.

Ecco il comunicato che abbiamo mandato alle redazioni.


Comunicato Stampa

“Il carcere, un luogo di tutti”: esce il Report 2021-2022 di Antigone Marche

L’associazione regionale per i diritti e le garanzie nel sistema penale racconta in 16 pagine le attività svolte e le storie di vita delle persone incontrate negli ultimi due anni, riportando i numeri e i problemi che riguardano i sei Istituti di pena marchigiani


“Il carcere, un luogo di tutti”. È questo il titolo del Report 2021-2022 con cui Antigone Marche, associazione regionale per i diritti e le garanzie del sistema penale, racconta delle sue attività negli istituti di pena, delle persone incontrate e delle situazioni di vita ‘dentro’. Il Report si compone di 16 pagine e contiene informazioni numeriche e dati statistici raccolti sia a livello locale che nazionale (con un sunto del rapporto nazionale 2022 di Antigone, ‘Il carcere visto da dentro’), ma anche alcuni racconti di vita e una panoramica delle iniziative pubbliche sviluppate. “Il Report non vuole e non può riuscire a riassumere tutto quanto l’Associazione ha fatto in questo biennio, ma vuole offrire un racconto di quello che in carcere vediamo e tocchiamo con mano”, spiega la Presidente dell’Associazione, Giulia Torbidoni. “Tra quelle mura vivono delle persone, persone che forse conosciamo, che fino a pochi giorni fa erano nostre vicine di casa o che sono state nostre compagne di scuola. Lì dentro potrebbe finirci davvero chiunque, perché il confine è molto spesso facilmente valicabile. È nostro interesse capire come lì dentro si viva e come se ne esca, anche in un’ottica di prevenzione, soprattutto tra i più giovani. Il carcere è, dunque, un luogo di tutti perché ci riguarda tutti”, dice la Presidente che poi aggiunge: “Dei dati che riportiamo nel Report, uno tra i più emblematici resta per noi il tasso di recidiva, che si attesta a circa il 67% tra chi ha scontato la pena dietro le sbarre ma scende al 19% tra chi ha avuto accesso a misure alternative. Una differenza enorme che dimostra come dalle misure alternative possano arrivare maggiore efficacia nel trattamento e un calo della pressione sulle strutture detentive e che ci fa dire che è su queste e sulla ristrutturazione degli istituti esistenti, piuttosto che nella costruzione di nuovi carceri, che si deve fare leva”, continua Torbidoni. 

L’Associazione, che porta avanti con regolarità l’attività di Osservatorio, visitando ogni anno tutti e sei gli istituti regionali (grazie alla specifica autorizzazione all’ingresso per quattro volontari rilasciata dal Ministero di Giustizia-Ufficio Dap) e pubblicando le rispettive schede post-visita al sito web https://www.antigone.it/osservatorio_detenzione/, nel 2022 ha aumentato il numero dei suoi Sportelli Tutela Diritti, arrivando a coprire gli istituti di Pesaro-Villa Fastiggi, di Fermo e di Ancona-Montacuto. “Significa un grande impegno nell'ascolto e nel sostegno ai detenuti, ma anche nel confronto con gli Istituti, con l’area educativa e la polizia penitenziaria, sempre con la volontà di contribuire a rendere meno dura, per tutti, la vita dentro”, conclude la Presidente. 


SCARICA QUI IL REPORT 2023 DI ANTIGONE MARCHE!





mercoledì 18 gennaio 2023

Antigone Marche: “Un nuovo carcere? Spreco di soldi pubblici”

Antigone Marche: “Un nuovo carcere? Spreco di soldi pubblici”

L’associazione per i diritti e le garanzie nel sistema penale si oppone alla possibile realizzazione di un settimo istituto regionale. “Costi alti e tempi lunghi per una non-soluzione del problema. Bisogna ristrutturare gli edifici esistenti e puntare sulle misure alternative”


“Tutto sembra pronto, nelle Marche, per la costruzione di un nuovo Istituto di pena. Ma ci serve davvero? La risposta è semplice: no”. Questo il commento della presidente di Antigone Marche, Giulia Torbidoni, a nome di tutta l’associazione regionale, alla proposta di realizzazione di un nuovo Istituto di pena. “Costruire un carcere da 250 posti costa circa 25 milioni di euro. Ovviamente questa è la spesa per le mura, poi va aggiunta quella per il personale e la manutenzione. Per quanto riguarda i tempi, sappiamo che, in media, la costruzione richiede circa 20 anni. Siamo così sicuri che ci convenga costruire una struttura nuova anziché ristrutturare i 6 istituti esistenti che tanto ne hanno bisogno? A Montacuto il rivestimento esterno cade a pezzi mentre a Pesaro ci sono infiltrazioni d’acqua e c’è urgente bisogno di interventi risolutivi, giusto per fare rapidi esempi”, aggiunge. 

“Un’altra considerazione riguarda la popolazione detenuta. Al 31 dicembre 2022, nelle Marche, le persone in carcere che erano in attesa di primo grado di giudizio erano 111 su 855 presenti, il 12,9% del totale. Parliamo di persone ancora innocenti. Ma stanno in carcere, molto spesso perché non hanno un domicilio dove passare la misura cautelare. Non sono poche: possibile che non si riesca a potenziare l’accoglienza sul territorio di queste persone, evitando loro la detenzione e alleggerendo le carceri?”, continua. “Non solo. Al 30 giugno, le persone con una pena residua sotto i 3 anni, nelle Marche, erano 347 su 808 (il 42,9%). Non sono poche neanche queste: potrebbero finire di pagare il loro debito con la giustizia in un modo diverso dallo stare chiuse? Crediamo di sì. E pensiamo che, invece di costruire nuove carceri, si debbano potenziare le pene alternative che abbassano la recidiva sotto il 20% (rispetto al 67% di chi non vi accede), sono più economiche e garantiscono un miglior reinserimento sociale”, prosegue.

“Infine, notiamo come a volte si usi la parola galera dimenticando che molto spesso i problemi per cui viene spesa sono temi politici: emarginazione, tossicodipendenza, disagio psichico (le diagnosi psichiatriche gravi tra i detenuti nelle Marche sono il 22,35% del totale, le tossicodipendenze arrivano attorno al 30%). È la politica che dovrebbe arrivare prima, occuparsi di tutti e creare le condizioni affinché le persone possano uscire dai margini ed emanciparsi, per vivere libere. Crediamo, quindi, che la migliore prevenzione al carcere sia nelle mani della vera politica: quella che garantisce scuole, lavoro, salute, spazi di socialità, cultura, prospettive. In definitiva, la domanda da porsi è se vogliamo costruire solo nuove carceri o una società più giusta”, conclude. 

mercoledì 11 gennaio 2023

TESSERAMENTO 2023 AD ANTIGONE MARCHE

Per iscriversi ad Antigone puoi compilare il form riportato nel file che troverete di seguito e rimandarlo via e-mail o posta ordinaria compilato in ogni suo campo assieme alla copia del bollettino postale o dell'effettuato bonifico. 

Per il 2023 la quota di iscrizione parte da € 10 (socio ordinario/studente). 

€ 30 è la quota per il socio sostenitore. 

€ 100 è quella per grande sostenitore.

Le modalità di pagamento sono le seguenti:

BONIFICO BANCARIO presso
Banca Intesa San Paolo
Associazione Antigone Marche
IBAN: IT10A0306909606100000190475



giovedì 15 dicembre 2022

LEGGE IGNORATA: ZERO GARANTI COMUNALI NELLE MARCHE

Due mesi fa abbiamo scritto ai sei Comuni sul cui territorio c’è un istituto di pena per chiedere che venisse istituito, in ottemperanza alla Legge, il Garante comunale dei diritti delle persone private dalla libertà. Indovinate un po'? Nessuna risposta.


Ci siamo stancati e abbiamo inviato il comunicato stampa che potete leggere sotto.


Una lettera ai Comuni sul cui territorio si trova un istituto di pena o una Rems (residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza) per chiedere loro di istituire la figura del Garante comunale dei diritti delle persone private della libertà personale. Come previsto dalla legge italiana. È quella inviata dall’Associazione Antigone Marche il 12 ottobre 2022 (nell'immagine il frontespizio di una delle lettere inviate) ai Sindaci, ai Consigli Comunali e ai Consiglieri Comunali di Pesaro, Fossombrone, Ancona, Fermo, Ascoli Piceno, Macerata Feltria.


“A due mesi di distanza dall’invio della lettera, nessun Comune ci ha dato una risposta che andasse oltre l’aver protocollato la richiesta. E Fossombrone, Ancona e Macerata Feltria non hanno fatto neanche quello. Nessun Consigliere ci ha risposto. Ed è superfluo specificare come nessun Comune abbia ancora istituito il Garante. Nessuno ci ha risposto nonostante il recente protocollo sottoscritto l’11 luglio tra Anci e Garante Nazionale per le persone private della libertà”, ha sottolineato l’Associazione.


È assolutamente impensabile che il doveroso esercizio della pretesa punitiva e l’interesse dello Stato a soddisfarla integralmente, o la condizione temporanea di privazione della libertà personale per qualsivoglia natura, possano giustificare la lesione di qualsiasi altro dei diritti inviolabili della persona. Ed è a tutela di questo principio che nasce il Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale, che ha il compito di vigilare affinché la custodia delle persone sottoposte alla limitazione della libertà personale sia attuata in conformità alle norme nazionali e alle convenzioni internazionali sui diritti umani ratificate dall'Italia. In sostanza, il Garante sono gli occhi e le orecchie della collettività, dello Stato, nei luoghi di privazione della libertà, ma anche nelle camere di sicurezza dei Commissariati di PS e delle Caserme delle Forze dell'ordine nonché effettuare visite presso le REMS e le RSA per anziani. È previsto dalla Legge che anche i Comuni istituiscano la figura del Garante dei diritti delle persone private della libertà personale. Ad aprile 2022, però, solo 48 Comuni italiani avevano però nominato i relativi garanti e la Regione Marche primeggia in negativo, non avendo né garanti provinciali né garanti comunali.


“È inconcepibile che i Comuni possano esimersi dall’applicare una Legge. La mancata istituzione della figura del Garante lede non solo i diritti dei detenuti, ma anche delle persone nei luoghi di cura, i migranti e in definitiva di tutti noi”, dice Giulia Torbidoni, Presidente di Antigone Marche. “La mancata risposta da parte di tutti alla nostra lettera è il segnale di un preoccupante disinteresse. Eppure rispettare la legalità significa anche garantire i diritti di tutti, perché da uno Stato trasparente abbiamo da GUADAGNARE tutti quanti, i cittadini e lo Stato stesso: il Garante è una figura essenziale prevista dalle Legge, e i Comuni devono rispettarla. O dovremmo pensare che il rispetto della legge lo si pretende solo da una parte?”.