Alle 21, al Centro Pastorale Diocesano
(via Roma 118), l’evento organizzato dall’associazione Antigone Marche e dalla
Sala della Pace-Caritas Fano, per la rassegna ‘La Primavera della Legalità’,
per riflettere su cosa sia giustizia e sul rischio sempre più forte di cedere
alla vendetta
Cos’è e come si vive con una sentenza addosso che recita la
formula ‘fine pena mai’ o ’fine pena al 31 dicembre 9.999’? Ha uno scopo di
giustizia e quale? Come è possibile considerare conciliabili il principio
costituzionale della ‘rieducazione’ del condannato e l’ergastolo ostativo,
ovvero quello che non ammette alcun tipo di beneficio? Sono queste e molte
altre le domande che si svilupperanno all’incontro, organizzato
dall’associazione Antigone Marche e
dalla Sala della Pace-Caritas Fano,
dal titolo ‘Fine pena mai: giustizia o vendetta?’ e che si terrà giovedì 9 maggio, alle ore 21, a Fano, presso il Centro Pastorale Diocesano, in via Roma
118. A parlare sarà qualcuno che conosce nel profondo il tema, qualcuno che nel
1991 è entrato in carcere con quella sentenza cucita addosso: lo scrittore
Carmelo Musumeci. Insieme a lui, Nadia Bizzotto, dell’associazione Papa
Giovanni XXIII aiuterà il pubblico a capire meglio cosa significhi scontare una
pena da ‘uomo ombra’, come Musumeci ha definito gli ergastolani ostativi, e,
soprattutto, a chiedersi che senso abbia. L’iniziativa, che fa parte della
rassegna ‘La primavera della legalità’, è resa possibile grazie alla
collaborazione di Mondo a Quadretti, Ufficio diocesano per i problemi
sociali e il lavoro, Banca del gratuito, associazione Papa
Giovanni XXIII e associazione Giustizia e Pace, e vuole offrire un
modo per riflettere sul senso comune di fronte alla giustizia, al valore della
pena e al desiderio, sempre più sdoganato, di vendetta.
Carmelo Musumeci, entrato in carcere con una licenza
elementare, ha oggi due lauree, una in giurisprudenza e l’altra in sociologia,
e oltre ad essere scrittore porta avanti una intensa attività di
sensibilizzazione nella società. Pochi mesi fa, nel suo blog, ha pubblicato una
lettera indirizzata al ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede. “Il carcere ti lascia
la vita, ma ti divora la mente, il cuore, l’anima e gli affetti che fuori ti
sono rimasti. E quelli che riescono a sopravvivere, una volta fuori, saranno
peggio di quando sono entrati. Non si può educare una persona tenendola
all'inferno per decenni senza dirle quando finirà la sua pena. Lasciandola in
questa situazione di sospensione e d'inerzia la si distrugge e dopo un simile
trattamento anche il peggior assassino si sentirà 'innocente'".
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